Il sogno delle hostess italiane: volare a Dubai
«Good morning, Milano». Francesca, una manager di origine italiana, saluta così i 300 giovani che affollano la sala Pegasus dell'hotel Sheraton, attaccato all'aeroporto della Malpensa.
La Emirates, una delle compagnie aeree considerata al top mondiale, recluta assistenti di volo italiani che andranno a lavorare a Dubai. Il richiamo dell'impiego arabo è stato così forte che gli inservienti dell'albergo hanno dovuto aggiungere un altro centinaio di sedie.
Per due terzi i presenti sono giovani donne tra i 21 e i 30 anni, vestono un tailleurino nero con camicetta bianca e tacco di altezza variabile. Vengono per lo più dalla Lombardia e dalle regioni limitrofe e sono le figlie del ceto medio padano.
I trecento ascoltano quello che raccontano Francesca e la collega slovacca Jana, non vola una mosca, guardano una lunga sfilza di filmati che illustrano le meraviglie della «21st Century City». Sullo schermo passano aeroporti, grattacieli, sceicchi, tappeti, campi da golf, spiagge, campi da tennis sospesi nel vuoto e ancora sceicchi.
Dubai appare un piccolo paradiso in terra, dove «si vive in armonia», si innova e soprattutto «si inventa il futuro».
Quando tocca ai ragazzi far domande sembra quasi che siano stati già assunti. Si informano sugli usi e costumi arabi, sulle ferie, sugli orari di lavoro, sulla sistemazione alberghiera, sul Ramadan, la possibilità di truccarsi e persino sul permesso o meno di portare tatuaggi che si vedano. («No, è assolutamente vietato» risponde Francesca).
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