Capo Horn: lo scoglio più a Sud di Franco Brevini

Samuel Gutierrez Vargas è il guardiano del faro più meridionale del mondo. Franco Brevini del Corriere della Sera lo ha incontrato. Ecco come vive

Samuel Gutierrez Vargas ha portato la propria famiglia a vivere nel punto più a sud del mondoÈ il guardiano del faro di Capo Horn, il lembo di terra più meridionale del Sud America, uno scoglio spesso avvolto nelle nebbie, di fronte a uno dei mari più tempestosi del pianeta. Samuel è un soldato dell’Armada de Chile. Cabo de Hornos, secondo la denominazione spagnola, si trova infatti nelle acque territoriali cilene e il guardiano del faro è il rappresentante della Marina di quel paese. «Ti aspettavo. Ho visto la nave. Come va?», mi chiede stringendomi forte la mano, non appena emergo dai centosessanta gradini della scalinata di legno mezzo marcio, che dalla piccola baia in cui si sbarca conducono alla spianata sommitale dell’isola. Lo zodiac che mi ha condotto a terra è ripartito saltando sulle onde grigie e fiorite di spume alla volta della Stella Australis, la nave che da dicembre a aprile percorre le acque tempestose intorno alla terra del Fuoco, sostando davanti al Capo.

Samuel è un omone dalla faccia larga e sorridente. Ha una trentina d’anni e indossa la divisa nera dell’Armada, compreso un basco appoggiato di traverso sulla testa, che non si capisce come possa resistere alle raffiche del vento patagonico. «Vieni, andiamo dentro—mi fa segno indicandomi una casa bassa e lunga dipinta di rosso, che si allunga ai piedi del piccolo faro—oggi soffia meno dei giorni scorsi, quando abbiamo avuto punte fino a 200 chilometri all’ora, ma siamo sempre al Cabo». 

Il tavolato dell’isola, che è stata dichiarata nel giugno del 2005 riserva della biosfera dell’Unesco, è completamente privo di alberi, anche se il clima umido fa crescere un’erba gialla e folta. «Qui l’umidità è terribile—urla Samuel piegandosi nel vento—registriamo valori costanti fra il 70 e il 90 per cento. Se pensi che in estate, cioè adesso, la temperatura si aggira sui dodici gradi, puoi capire che il posto è piuttosto duro. Hai sentito l’acqua del mare? Due gradi tutto l’anno, meglio non caderci dentro». Sull’elevazione che sorge in faccia al faro si staglia il gigantesco rombo metallico, in cui è scolpita la silhouette di un albatro: 120 tonnellate di ferro, capaci di resistere a venti più impetuosi. È stato costruito per iniziativa della Cape Horn Captain’s International Brotherhood, la cui sede si trova a Saint Malo, in Francia, ed è stato inaugurato nel 1992. Accanto, la lapide in spagnolo con i versi di Sara Vial: «Io, l’albatro che vi attende / alla fine del mondo... / Io sono le anime dimenticate dei marinai morti / che hanno attraversato Capo Horn / provenienti da tutti i mari del mondo». 

«Sono quattro mesi che stiamo qui al faro di Capo Horn» spiega Samuel facendomi accomodare in un salotto del tutto simile a quelli delle nostre case. La moglie porta una tazza di te. È poco più giovane di Samuel, con lunghi capelli neri che cadono sulle spalle. «Sono arrivato il 1˚ dicembre 2012 e ripartirò il 1° dicembre 2013. La mia funzione è di vigilare sul mare qui intorno, controllare il traffico delle navi e assicurare il funzionamento del faro». Samuel abita su questo remoto scoglio a centinaia di chilometri dalla città più vicina insieme alla moglie e a due bambini. «Anais, la ragazza, ha nove anni e Samuel, il maschietto, sette. Adesso dormono perché hanno guardato la televisione fino a tardi. Ma poi si alzeranno e faranno i compiti. La scuola la fa mia moglie, non siamo insegnanti, ma ugualmente cerchiamo di prepararli, perché, quando rientreranno alla scuola di Puerto Williams, dovranno sostenere un esame per passare alla classe successiva. All’inizio hanno sofferto un po’ per la mancanza dei compagni. Ora stanno bene, sono felici e si divertono. I viveri mi sono inviati dall’Armada de Chile e, grazie alla disponibilità di Cruceros Australis, ogni due settimane io do loro la lista della spesa e il denaro e loro mi vanno a comprare quello che mi serve a Punta Arenas o a Ushuaia». 

C’è intorno un’aria di normalità, che contrasta con il mare dello Stretto di Drake, che ribolle feroce fuori dalla finestra. «La scorsa settimana abbiamo avuto onde alte venti metri, ma quassù la vita è piacevole. La gente pensa che chi sta qui non abbia nulla da fare, ma non è vero. Ho le visite della gente di passaggio, i passeggeri di Cruceros Australis e gli equipaggi delle barche a vela. Devo identificare tutte le imbarcazioni che passano di qua, provenendo da Europa e Africa. I guardiani dei fari sono dei volontari. Uno dei motivi per cui ho scelto di venire qui è la mia famiglia. Quando stavo a Punta Arenas, o ero in navigazione o lavoravo in ufficio. Qui alla fin del mundo mi sto godendo invece una nuova intimità con loro. Esco, cammino, gioco con i bambini. La vita qui al Capo in questi quattro mesi è stata fantastica».


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